venerdì 1 dicembre 2017

Una nuova pagina su facebook. Si chiama BIGLIETTI DI IERI

Roma - tessera mensile bus - 1975 - Era una linea tosta, il 391, sfidava ogni giorno traffici epici, blocchi apocalittici, mitigati solo in seguito dalla rimozione del semaforo satanico dei Prati Fiscali e dalla costruzione dello svincolo sulla Salaria che richiederà 10 anni di lavori. C'era una villa romana là sotto, dissero, e prima di ricoprirla con l'asfalto ci pensarono parecchio, Dieci anni, mica mesi, manco fosse il lago sotterraneo scoperto durante i lavori della metropolitana o le sale coi dipinti che si disintegrano a contatto con l'aria nel film Roma di Fellini, Solo un paio di muretti, qualche colonnina. I resti di una villa rustica, destinata alla produzione agricola, con centinaia di schiavi al lavoro, gli stessi che duemila anni dopo avrebbero riempito il 391, che con le sue ruotacce nere di petrolio gli sarebbe passato sopra incurante della storia e dei morti. 

Archeologi, ingegneri, muratori, impiegati del comune, vigili urbani, non ne venivano a capo, e il traffico aumentava: due ore per fare cento metri. Poi - era un giorno apparentemente come gli altri - uno di loro, uno un po' più sveglio degli altri, disse: "sti cazzi dei romani antichi, la villa se la potevano costruire un po' più in là, copriamo tutto e facciamo sta strada", e così facendo - tra archeologi che si suicidavano e politici che facevano finta di niente - il nostro amico sveglio liiberò un quartiere di 500.000 anime dalle più atroci e ingiuste pene dell'inferno, roba da denuncia alla Convenzione contro la tortura dell'Onu.

I lavori effettivi durarono relativamente poco: una volta avuto il via libera, gli ingegneri si accanirono rabbiosi sulla villa romana disintegrandola a picconate, manco fosse poi lei quella che aveva scelto di ergersi duemila anni prima in prossimità dello svincolo fatale. Si era liberi finalmente di respirare aria pulita e di avere l'impressione di scongiurare il pericolo dei gas di scarico, che al di là del traffico più o meno intenso continuarono ad attraversare come soffioni boraciferi i finestrini a ghigliottina, fondendosi con gli umori caldi di gente svegliata all'alba, Ma per il 391 era ormai troppo tardi; anche davanti a brevi, ma inediti, tratti di strada liberata dal traffico, non riusciva mai a prendere velocità,insomma ad allungare un po' il passo cristosanto,. e la gente appesa ai sostegni, ondeggiando sulle sospensioni provate dagli anni, lo incitava con cori da stadio, tra i "non mollare" e i "corri corri, daje"; rideva e sfotteva la gente, sì, ma lo faceva con quel sentimento di clemenza che istintivamente riserviamo ai derelitti, e qualcuno in quei frangenti tirava fuori il fazzoletto dicendo che aveva una ciglia nell'occhio.

Il 391 arrancava, come una vecchia vaporiera, ma almeno non si fermava, e in pochi si accorsero da lì dentro che il paesaggio intorno stava cambiando, Il 391 visse per molti anni ancora, lanciando nell'aria, dal tubo di scappamento sul tettuccio, i soliti sbuffi malefici lungo il percorso, nei cieli dei Prati Fiscali, dell'Olimpica, di Tor di Quinto, del ponte Mollo, del Foro Italico, all'ombra dell'obelisco Mussolini, e si fermava esausto e dolorante al ricovero capolinea di piazzale Clodio. Nel tempo furono pochi gli interventi di maquillage a lui riservati, forse qualche bus meno datato, forse meno sporco, forse meno inquinante... Fatto sta che nessuno mosse un dito quando in seguito il 391 fu definitivamente soppresso.